mercoledì 26 novembre 2014

Elogio del di-vertimento.


Come già ho avuto moco di affermare, contro una certa dominante critica, sono convinto che la narrativa di genere sia la matrice di quella "alta", "colta" o "mainstream" che dir si voglia, e non il contrario.
In altri termini non credo che la "triviallitteratur" sia un sottoprodotto semplificato e massificato di temi, personaggi e situazioni elaborate in ambienti più raffinati, un modo insomma di fornire anche alla servitù emozioni e commozioni pensate in origine per i padroni.
Invece è proprio lei che assolve meglio alla funzione principe dell'arte, quel "di-vertimento" connaturato ai generi da cui si sviluppano poi i prodotti più alti dello spirito. Perché è proprio il di-vertimento il più nobile di questi.
Mi spiego, facendo riferimento alla radice etimologica del termine latino, "de-vertere", portare, spingere fuori, allontanare dalla via prefissata. in senso figurato anche disorientare, sconvolgere. modificare il quadro delle attese, l'orizzonte degli eventi.
Ora è esattamente questa la funzione dell'arte, in ogni sua espressione: de-vertere l'animo del fruitore dal nucleo di conoscenze e certezze da cui è avvolto, prenderlo per mano e trascinarlo fuori in una sorta di cavalcata senza meta apparente. A patto però che al termine del galoppo non ci si limiti a riaccompagnarlo al punto esatto da cui si era partiti, ma lo si lasci invece da un'altra parte, de-vertito, appunto, ma più maturo e consapevole.
E' questo che distingue una grande opera di genere, come "L'Isola del Tesoro", da tante mediocri imitazioni. Chi da ragazzo è salito sull'Hispaniola, ha toccato le coste dell'isola e poi si è addentrato nelle sue foreste in compagnia di Ben Gunn e Silver John, non è mai più tornato al punto di partenza. E ancora da qualche altra
parte, alla ricerca insaziabile di altre isole e altri tesori.