domenica 12 settembre 2010

Il romanzo sceneggiato.


La caratteristica più appariscente della moderna narrativa di genere è il suo legame con il cinema. In alcuni casi tanto stretto da generare il dubbio che si sia alle soglie di una nuova mutazione del genere stesso: per esempio in un videogioco, dove diventerà sempre più difficile stabilire se prevalga la narrazione o l'immagine.
Questo avvicinamento non è di per sé un fenomeno recente: tra romanzo e cinema è sempre esistito uno scambio, ma di segno diverso col passare del tempo.
Fino alla metà del XX secolo è stata la letteratura a fornire al cinema personaggi e situazioni, un intero corpus di trame, valori e ideologie. Poi progressivamente è stata la letteratura a importare materiali sempre più corposi, fino ad adottare addirittura le tecniche stesse dell'amico-concorrente.
Questo ha portato a sviluppare romanzi di genere, soprattutto nell'area nordamaricana, che sembrano sempre più una sceneggiatura. Non tanto e non solo perché molti di essi nascono già "pensati" in vista di una riduzione cinematografica, quanto perché spesso essi sono già delle sceneggiature semicomplete.
Nel senso che condividono con la sceneggiatura la stessa struttura formale: un testo dove una vicenda viene ridotta solamente a ciò che si vede e ciò che si sente. Nella sceneggiatura infatti non esiste spazio per i "pensieri" dei personaggi: a meno che non si ricorra all'espediente della voce fuori campo, comunque poco diffusa negli ultimi tempi. In un film il pensato deve essere ricostruito dallo spettatore attraverso gli atti e le parole dei personaggi.

La stessa sembra essere diventata una caratteristica del genere, la rimozione del "pensato" dalla pagina. Appare sempre più evidente come un numero crescente di scrittori sembri ritenere che la trascrizione del pensiero costituisca un ritardo, un intralcio all'azione che si è deciso essere la caratteristica fondamentale della narrativa di genere.
A rigore non sembra esserci una motivazione estetica del fatto. Spesso anzi la rapidità dell'azione, aiutata da un sistematico ricorso a elementi topici che equivalgono a frazioni di "pensato" preconfezionate, finisce per tradursi in un semplice impoverimento della narrazione. Non si ottiene alla fine la cinestesia che magari si aveva in mente, ma solo il "racconto di un racconto".
Insomma la narrazione moderna sembra aver sposato le posizioni più radicali della fenomenologia, trasformando ogni racconto in una sorta di verifica in laboratorio delle teorie di Husserl.
E' una situazione che a me pare molto interessante, e che andrebbe analizzata più a fondo: sia per portarla alle sue estreme conseguenze, o per contrastarla con tutte le forze.

1 commento:

Riccardo ha detto...

Verissimo. Più in generale la società dell'immagine ha sostituito quella della parola. Ai corsi di scrittura creativa, del resto, ti insegnano subito a "mostrare, non raccontare". Le immagini preesistono alla parola. Una scena (o capitolo, ormai quasi sinonimi) ambientata in tribunale, per esempio, non ha più bisogno, seguendo queste teorie, della descrizione di come è fatto un tribunale. Basta qualche dettaglio per consentire al lettore di pescare quell'immagine nel proprio archivio mentale. Perché tra cinema e televisione ha visto migliaia di volte un interno del tribunale. Portando il ragionamento agli estremi, ciò che alla fine distingue un racconto dalla sceneggiatura di un film torna a essere la parola, cioè la Scrittura. O sbaglio?