martedì 6 aprile 2010

A proposito

E' vero che ho sostenuto che lo scrittore deve parlare di sé solo nei libri. Però non posso mica scrivere un libro alla settimana! Per cui negli intervalli parlerò anche d'altro.
Per esempio della mia collezione di giocattoli spaziali. Questa è una passione che nasce da una profonda frustrazione: quando ero piccolo, alle prese con le prime lezioni di inglese, pensai che un buon modo per rendere meno sgradevole lo studio fosse quello di esercitarmi sui fumetti americani: allora si trovavano soltanto in un'edicola di via Veneto (proprio quella del signor Max, se avete presente il film): erano quei magnifici comic book della Gold Key, con i paperi di Barks e gli episodi originali di Ai confini della realtà, tra gli altri. Io li trovavo meravigliosi: ma quello che mi rovinava il gaudio erano le pagine di pubblicità inserite tra i fumetti. Giocattoli, ovviamente.
C'era per esempio la carabina Daysy a ripetizione, con cui i miei coetanei americani erano liberi di sparacchiare a parenti e amici, mentre io a Natale avevo ricevuto un fuciletto a tappo vagamente ispirato al 91 di mio nonno ardito della Grande Guerra. E poi c'erano le armi spaziali! Straordinari congegni multicolori, che si intuivano ruggenti di raggi fotonici e di altre diavolerie.
La loro visione deve aver aperto uno lacerazione incolmabile nel mio animo, non più richiusa fino a quando, qualche decennio dopo, in un negozio di rigattiere mi capitò di trovare un esmplare abbastanza malridotto dell'Atomic Disentegrator di Buck Rogers, finito lì chissà per quali vie. Il suo acquisto fu la pietra d'angolo di una raccolta che continua tuttora, combattuta a colpi di sfide su eBay.
Appunto l'altra notte sono riucito a strappare al mio arcinemico RayGunMan un esemplare del segretissimo congegno giapponese 888 (vedi foto), gabbandolo con un rilancio a tradimento negli ultimi secondi. La felicità, come diceva Trilussa, è davvero una piccola cosa.

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