martedì 18 ottobre 2011
Ancora sul genere
Se uno torna a pensare per un attimo al problema dei generi, è facile che giunga alla mia stessa conclusione: per quanto sottile e accurata possa essere una classificazione, si finisce sempre per dover ammettere che essa non dà mai un conto esatto di tutti i testi esistenti.
Del resto a ben vedere è un problema antico, che risale addirittura alla polemica tra Platone e Antistene sulle essenze universali. Parafrasando l'affermazione del secondo si potrebbe dire, parlando per esempio di narrativa poliziesca: vedo il giallo, ma non la giallosità. Ossia, ancora una volta, quali sono i confini del genere giallo?
Mi viene voglia di abbandonare l'annosa questione, e proporre invece una soluzione più drastica, così tanto per giocare.
Non escluderei che sia stata già suggerita da qualcuno, vista l'irresistibile tendenza degli uomini a pensare prima o poi le stesse cose, nel tempo. Se è avvenuto mi scuso per la violazione di copyright, ma poiché non mi è capitato ancora di trovarla da qualche parte, provo a (ri)enunciarla qui.
Mi sembra che alla fine i libri si dividano in due soli generi fondamentali: quelli che si leggono una volta sola e quelli che si rileggono. Due, tre, anche cento volte.
Le due categorie non sono separate da una barriera qualitativa: in altri termini non sono assolutamente le caratteristiche letterarie, stilistiche che determinano l'appartenenza all'una o all'altra schiera. Ci sono capolavori immortali della letteratura che finiscono subito a impolverarsi tristemente nello scaffale più alto della nostra libreria, e di contro libretti molto più corrivi che, per qualche insondabile motivo legato alle oscurtità della nostra psiche, si infliggono nella memoria e continuano per anni a ripresentarsi come ospiti graditi.
Questi libri revenants sono i nostri veri classici, i classici della mente, che magari ci vergogneremmo a esibire in pubblico ma che coltiviamo nel segreto delle nostre fantasticherie. Sarebbe interessante scambiarsi qualche confidenza in merito, tra amici: sono sicuro che ne scopriremmo delle belle.
Etichette:
Il mestiere di scrivere
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
4 commenti:
E' proprio così. Ci sono poi anche i libri che vengono periodicamente aperti e che mai si riescono a chiudere. Fra i classici che ritornano spesso ritrovo i libri-intervista (Fuoco all'anima, di Sciascia per esempio) oppure tantissimi gialli, di cui conosciamo ormai a memoria il meccanismo ma che rileggiamo come i rebus già risolti: solo per il piacere di rientrarci.
Uhm... visto che siamo in vena di confidenze, ecco tre titoli che il sottoscritto legge e ri-legge da anni:
1) "Carmilla" di Joseph Sheridan Le Fanu
2) "Il fu Mattia Pascal" di Luigi Pirandello
3) "La Tigre della Malesia" di Emilio Salgari (sì, proprio la prima versione d'appendice del successivo "Le Tigri di Mompracem"...)
Si tratta di una "classifica", ma fondata esclusivamente sulla "quantità" di riletture, anche e spesso disordinate :)
Mi domando se non sarebbe altrettanto divertente (o forse più) fare lo stesso con i film...
Nel mio caso, francamente, mi rendo conto di leggere e ri-leggere, più volte, più racconti e novelle che romanzi. Non a caso, "Carmilla" è da alcuni considerato più un racconto lungo (o un racconto tout court) che un romanzo breve...
Fabrizio
Sì, ma sempre per ritornare alle idee ricorrenti, è anche vero che le due categorie (letti//riletti) sono due insiemi spesso coincidenti, perché ciascuno rilegge libri diversi e quindi il...genere è sempre e comunque incerto, anche come categoria concettuale, non solo empirica. O meglio:il genere non è definibile in assoluto, neppure sul piano formale, ma solo soggettivamente. In ogni modo i libri di Leoni a me piacciono "assolutamente"!
Confidenza per condifenza, ho perso nel tempo l'abitudine di rileggere i testi, comunque nessuno batte quanto a riletture il mio " I tre moschettieri"...
Posta un commento