A suo tempo lessi con grande interesse il libro di Charles Mauron, Dalle metafore ossessive al mito personale. Un testo molto ricco di elaborazioni ispirate al pensiero di Freud, analitico e rigoroso. Ma che al fondo trasmette un'idea semplice: l'opera letteraria scaturisce dal fondo limaccioso del nostro inconscio, e solo dopo passa al vaglio della coscienza che le conferisce una struttura linguistica e una forma definita.
ma che in questo passaggio trascina con sé delle tracce insopprimibili di quello che si nasconde nel profondo, e anzi vi si aggrappa come ancore di salvezza della propria identità.
Un'idea che tradotta in termini più grezzi significa: ogni scrittore non fa che riscrivere ossessivamente lo stesso libro per tutta la vita, spesso senza che lui stesso i suoi lettori ne abbiano consapevolezza.
Ci deve essere del vero, se in fondo Dostoevskij non fa che rielaborare l'assurdità del male che colpisce gli innocenti, Tolstoj il conflitto tra il potere e il ruolo sociale e i sentimenti, Mann la relazione vertiginosa tra la malattia e l'arte, Nietzsche la sfida destinata alla sconfitta dell'uomo con Dio, in una eterna e circolare ripetizione della lotta di Giacobbe con l'angelo, tanto per citare qualche esempio.
E anche se non fosse vero non ha alcuna importanza. E' appunto una bellissima metafora, anche un po' ossessiva.
martedì 19 maggio 2015
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