Mi capita spesso di sentirmi chiedere: ma quanto di vero c'è in quello che racconti? E qual è il rapporto tra le tue storie e la realtà?
La mia risposta è sempre diversa, a seconda dell'umore del momento, della maggiore o minore simpatia del richiedente, della occasionale disponibilità di tempo. Spesso sono risposte articolate, talvolta concettose, altre volte più generiche e sbrigative ma comunque ogni volta mi metto lì e ne formulo una, perché anche l'ultimo dei lettori ha diritto a una sua seppur piccola soddisfazione.
Se avessi pazienza, o meglio ancora una graziosa segretaria al seguito con il compito di registrare le mie risposte, potrei anche metter su un bel librone di narratologia stampandole tutte in fila. In anni ormai di presentazioni, incontri, convegni, interviste e poi chiacchierate tra amici e blog e Facebook e email ne avrei a centinaia da ripetere.
E invece niente, perché sono un uomo di coscienza, con una sua anche se strampalata moralità. E come tale so che la risposta vera è una sola: tra quello che scrivo e la realtà non c'è assolutamente alcun rapporto.
Ohibò, si dirà. E allora l'aggettivo "storico" che spesso accompagna i tuoi titoli come si giustifica? Se c'è qualcosa di reale non è appunto il dato storico? Se la "verità" non è altro che "ἀ–λήθεια" ossia ciò che non si nasconde, cose ci può essere di meno occultabile di un fatto ormai accaduto, e che il suo stesso accadimento consegna nelle nostre mani cristallizzato e inamovibile?
Ciò che è accaduto non è vero in essenza?
Ahimè no, amici miei: ciò che è accaduto è una somma di ingannevoli apparenze. Perché su tutti i fatti accaduti una dea burlona, anzi la più irridente delle divinità, Maja, ha disteso il suo velo negandoci ogni possibilità di visione chiara e inequivocabile. E condannandoci per sempre soltanto a una approssimativa e miserevole interpretazione. E dunque è questa la mia vera risposta: in tutto quello che scrivo non c'è niente di vero, ma soltanto quello che a me sembra vero, in una confusione gioiosa di pure probabilità in cui tutto è vero e tutto è falso allo stesso tempo e tutto vive e tutto muore come nella scatola di Schrödinger. Ogni mia storia non è che il filo di un'Arianna perversa, che invece di condurre alla salvezza sprofonda sempre più nel labirinto. Ma niente paura: al fondo della discesa non è in agguato l'orrido Minotauro, ma solo l'inizio di una nuova storia.
Per cui l'eventuale lettore che fosse intrigato, oltre che dal problema della realtà, anche dal paradosso di Schrödinger, può senz'altro tranquillizzarsi: la realtà non esiste, e il gatto è morto.
mercoledì 25 novembre 2015
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