sabato 10 aprile 2010

Trivialliteratur?

Mi capita spesso, quando in compagnia di qualche amico la discussione ritorna sull'eterno e stucchevole dibattito narrazione di genere/narrazione alta, di sostenere una tesi che potrebbe apparire paradossale.
Ma nella quale, come spesso nei paradossi, mi sembra si celi una verità: che la narrazione alta non esiste. Esiste soltanto il racconto di avventure.
Ohibò, direte voi. Se però ci pensate un attimo, in tutte la culture la narrazione nasce per gli stessi motivi e nelle stesse forme: come celebrazione delle gesta degli eroi. Visti nel loro tratto qualificante, la capacità di avventurarsi in un territorio altro rispetto a quello normalmente praticato dai membri della comunità.
Un'avventura continuamete ri-narrata, sia per rafforzare il sistema valoriale della comunità, sia nel profondo per attenuare il sentimento d’impotenza e di finitezza che si accompagna alla scoperta delle nostra mortalità.
Non a caso la narrazione di gesta celebra sempre l’ascesa dell’eroe in un non-tempo mitico che lo pone al riparo dalla degradazione entropica dell’esistenza. Magari proprio attraverso la morte, che spesso è il vero happy end dell'eroe.
E l’atto di assistere allo sviluppo della vicenda, che nelle comunità primitive assurge spesso al rango di vero e proprio rito, associa simbolicamente il celebrante alla sua apoteosi. Facendolo però salvo dal tragico destino che l'eroe esplora per lui.
In questo senso ogni narrazione è narrazione di un'avventura. Che si svolge necessariamente lungo uno dei tre assi del nostro incardinamento al mondo: di lato nello spazio, avanti o indietro nel tempo, in alto verso lo Spirito o in basso verso gli abissi della Psiche nei romanzi psicologici.
L'avventura è quindi la madre di tutte le narrazioni. Qualunque racconto ci venga in mente di scrivere, alla fine esso non risulterà altro che una cartografia precisa di come un personaggio transiti da uno stato del mondo all'altro, e degli ostacoli che esso incontrerà sul suo cammino.
I generi nei quali tendiamo a segmentarla sono solo delle categorie funzionali, che fanno perno su aspetti tutto sommato marginali della loro struttura.
Il punto cui voglio arrivare è che anche la narrazione alta, mainstream,è alla fine un genere di avventura e, come tale, racconto fantastico.
Perché l'altra diatriba insanabile è quella che oppone una narrazione pretesa mimetica della realtà, quindi seria e produttiva, a un altra che folleggia sotto le insegne della fantasia più sfrenata. E quindi minore, e rivolta a menti più rozze o infantili. E per di più disonorata ulteriormente come scrittura di "evasione", nel senso di una letteratura che prospettando mondi radicalmente alternativi, finisce con l'esercitare sulla mente del lettore una sorta di soporifero adattamento all’esistente.
Nulla di meno vero. La narrativa di genere “diverte” sì, ma nel senso etimologico di “de-vertere” ossia volgersi altrove, percorrere altre strade. Dunque sviluppa nel lettore quelle categorie mentali attinenti la ricerca di alternative che meglio spingono ad assumere una posizione propositiva proprio nei confronti dell’esistente. Che è il contrario di quell’istigazione alla passività imputatale da una certa critica ortodossa e ostile.
Di contro la letteratura mainstream non è necessariamente più realista dell'altra, né una migliore interprete dei tempi: a noi “sembra” che il salotto di madame Bovary sia più vero della foresta incantata di Broceliande, semplicemente perché le nostre categorie di interpretazione della realtà sono ancora più simili a quelle di Flaubert che non a quelle di Geoffroy de Monmouth.
La pretesa superiorità del racconto di impianto realistico su quello fantastico deriva in definitiva soltanto dal nostro angolo di prospettiva.

5 commenti:

Riccardo ha detto...

A volte ho il dubbio che la letteratura “alta” esista solo nella fantasia di quella che hai definito “una certa critica ortodossa e ostile”. Mi resta difficile capire in base a quale arbitrario principio Joyce sia “alto” ed Ellroy sia “genere”. Ma credo che sia per quello stesso principio che Tolkien, per esempio, sia rimasto relegato per anni in un limbo di sospetti e pregiudizi. Che sono poi gli stessi che rendono il salotto della signora Bovary più vero della foresta di Broceliande. Quella critica ortodossa si è formata attorno al principio che l’evasione e il divertimento siano mezzi per imbambolare le masse, distrarle, renderle meno consapevoli e quindi più plasmabili. Una visione che ha una ragione di fondo, ma che se applicata in modo paranoico e acritico confonde la scatola con il contenuto. La vicenda raccontata in un romanzo mainstream può essere aderente alla realtà, quando è un romanzo onesto, nel senso che quei fatti raccontano una quotidianità condivisibile dal lettore, fatti che concretamente avvengono, o sono comunque ritenuti possibili, anche nella nostra vita. Che questo sia di per sé un valore è tutto da dimostrare. Il protagonista di un romanzo di questo tipo è comunque il tizio che possiamo incontrare al bar. Incontrare al bar il venerabile Jorge è decisamente più arduo, ma credere che questo lo renda meno aderente alla realtà è l’errore più comune che quella critica “ortodossa e ostile” (almeno quanto il vecchio Jorge) possa commettere.

l'amministratore ha detto...

Caro Riccardo, nememno serve dire che sono d'accordo con te. Sul perché in Italia esista da secoli una sorta di tabù sul racconto fantastico (a partire almeno dal giudizio del cardinale d'Este sul Furioso) sarebbe un discorso lungo, e magari prima o poi proverò a dire la mia. Pensa solo al povero Salgari: in qualunque altro paese ci sarebbero la statue nelle piazze, e da noi c'è quasi da vergognarsi a nominarlo.

Daniele ha detto...

Interessantissime osservazioni. Ma, a mio avviso, non c'è solo il discorso sulla letteratura "alta" e "bassa". Quando si parla di letteratura di genere sono presenti anche dei pregiudizi ideologici ancora duri a morire, per lo meno qui in Italia. Il giallo di sinistra, la fantascienza di destra, ecc. Anche questo, credo, non aiuta a crescere sotto il profilo della consapevolezza critica... O no?

l'amministratore ha detto...

Beh, alla fine è sempre il fantasma di Zdanov che ancora riemerge scricchiolando dalla tomba. L'idea che il racconto fantastico o di anticipazione sia di destra e il giallo (meglio ancora il noir) sia di sinistra, perché "critico" della società è una fesseria. Sembra un po' l'analoga contesa tra le mutande e i boxer di Gaber, se non ricordo male. Semmai è il contrario, è la narrazione che ipotizza mondi e condizioni alternative a eccitare la fantasia, e a suscitare il desiderio di sperimentare condizioni alternative di esistenza. Però è davvero un bell'argomento, cercherò di scriverci qualcosa di più argomentato.

Luigi ha detto...

Che la fantascienza sia di "destra" è confermato proprio dal fatto che ipotizza condizioni alternative, prefigura cambiamenti... In Italia cosa c'è di più conservatore della sinistra? Ragion per cui Lucarelli e company si buttano sul noir, a confermare la loro visione statica del reale, per di più sempre gaudente nello scavare nel torbido e nel marcio dell'animo umano.