domenica 11 aprile 2010

Il demone della velocità.


Ho sempre amato il Futurismo, da molto prima che il ricorrere del centenario lo richiamasse agli onori della cronaca. Qui non è però in questione la valenza estetica complessiva del movimento, quanto uno dei suoi tratti caratterizzanti: il culto della velocità. Come tutti i pigri, ne sono affascinato sin dalla più tenera età.
Fu questo a portarmi, nell'estate del 1966, a dare man forte a uno dei più scervellati tentativi di record che la storia (non) ricordi.
Tutto nacque nella mente del mio amico Mario, il "grande Meaulnes" della mia primissima adolescenza. colui che mi fu mentore e tiranno, che mi insegnò a costruire i primi aeromodelli, a salire sugli alberi per recuperarli e a bestemmiare quando fossero definitivamente perduti. E che mi iniziò alla caccia di indifesi animaletti con il Diana, alla goduria delle risse e alle prime inquietudini dell'amore, in ragione di una sua bellissima sorella che ci seguiva nelle scorribande.
Da tempo la sua attenzione ruotava intorno a una vecchia lambretta del padre, rossa fiammante per una ritinteggiartura al minio con cui il bravuomo trattava le cancellate nella zona.
Approfittando di una sua assenza per lavoro trascinammo il veicolo dal celebre Mandrache, un meccanico di Ostia Antica in fama di preparatore di motori per le corse dilettantesche che si tenevano allora. Seguendo i suoi consigli smontammo il motore, tirammo via tutto il possibile del pistone con la smerigliatrice, fino a ridurlo una specie di frittella, in modo da aumentare allo spasimo la cubatura del piccolo 125 cc. Poi trapanammo l'ugello del carburatore, collegandolo con un tubo di gomma a un imbuto fissato al manubrio, per realizzare un'embrionale forma di sovralimentazione. Quindi Mandrache passò a Mario dei misteriosi ingranaggi di origine ambigua, atti ad alterare i rapporti della scatola del cambio, e strappammo via la marmitta.
Finalmente, all'alba di una mattina di agosto, su un tratto deserto del vecchio circuito automobilistico di Castelfusano, ebbe luogo il tentativo. Il serbatoio fu riempito di una mistura di fantasia, otto parti di benzina super, una di kerosene per riscaldamento e una di etere per aviomodelli. Cui si aggiunsero quattro pasticche di STP che avranno portato gli ottani a 200. Per evitare il rischio di impennamenti il mezzo era stato zavorrato con due blocchetti di tufo legati al pianale, rubati in un cantiere edile lungo la strada.
Con la sola protezione di un paio di occhiali da saldatore Mario avviò a spinta la Lambretta e si avventò, rombando come uno Stuka, verso di me che lo aspettavo tre chilometri più avanti, con in mano il cronografo di mio padre. Affermo qui che, prima che la fusione delle bronzine e il conseguente grippaggio con totale distruzione del motore e della trasmissione interrompessero il generoso tentativo, Mario raggiunse i 147,6 chilometri orari.
Considerati i danni irreparabili, smontata la targa e scalpellati via alla meglio i numeri del telaio, l'eroico mezzo fu abbandonato sul ciglio della strada, secondo gli usi incivili e pre-ecologici del tempo.
Fast & Furious? Mi fai un baffo, Vin Diesel!

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