sabato 10 aprile 2010

A proposito di gialli storici.

Riposto qui per gli amici qualche osservazione sul giallo storico, che ho già sparpagliato per frammenti nell'evanescenza della rete.

Da tempo ormai non ci si raccapezza più con il vecchio giallo. Fino a qualche anno fa era una griffe notissima e indiscussa: anzi dominava incontrastata, da scatenare l’antitrust. Bastava la parola, almeno qui da noi, e dall’edicola alla più raffinata delle librerie ci si capiva subito.
All’estero era un’altra storia.Gli inglesi per esempio avevano cominciato presto a cincischiare, con i loro detective novel, crime novel, mystery novel, ma si sa gli inglesi sono sofisticati e gli piace strano, come la mania di guidare a sinistra. Gli americani non ne parliamo. Poi sono arrivati i cugini francesi con il loro noir, che alla fine è sempre giallo, come lo champagne sempre spumante è. Ma guai a dirglielo però, c’è da rompere le relazioni diplomatiche. E così di complicazione in complicazione e di sottogenere in sottogenere siamo arrivati al caos di oggi, che nemmeno alla stazione Termini in un’ora di punta.
Tra tutti i sottogeneri ce n’è uno che sta godendo da qualche tempo un crescente favore da parte del pubblico, fino a ritagliarsi una solida nicchia nel panorama editoriale di tutto il mondo. Si tratta del giallo storico, l’historic mystery degli anglosassoni.
Ma cos’è un giallo storico? A prima vista la risposta sembrerebbe facile: un’avventura a sfondo poliziesco che si svolge nel passato. Semplice.
Eppure già questa prima affermazione aprirebbe al causidico una bella occasione di dibattito: e perché? Si può fare storia soltanto del passato? In un tranquillo universo positivista certamente sì: ma nei nostri tempi così inquieti e terremotati da una totale incertezza sul senso delle cose, e per di più resi ancor più incerti dalle teorie di Heisenberg e dalla meccanica quantistica, siamo davvero così sicuri che non si possa trattare il futuro con la stesa spigliata nonchalance con cui discettiamo di cose passate? Che insomma il nostro orizzonte degli eventi non ci esili, e nello stesso tempo avvicini, in modo eguale ai due coni d’ombra del non-è?
Ma senza avvitarci ora in speciose argomentazioni, e prendendo atto che al momento non esiste ancora in nessuna università una bella cattedra di Storia del Domani, restiamo al tema. Dunque una storia di ammazzamenti e di solerti indagini in un’epoca passata.
Ma allora, potrebbe e con ragione argomentare qualcuno, una storia di Sherlock Holmes è un giallo storico? Verrebbe da dire di sì: gli elementi ci sono. Un delitto, un’indagine, una soluzione. E il tutto tra hansom cab e lampioni a gas, il telegrafo come novità assoluta e le impronte digitali di là da venire.
Eppure sentiamo d’istinto che qualcosa non va in questo ragionamento. Se lo accettassimo tutto diverrebbe giallo storico: anche il Falcone Maltese lo sarebbe a pieno titolo. Con i suoi telefoni candlestick, quelli di Paperino, i doppi petti gessati di Sam Spade e le Ford model A ronzanti su e giù per le colline di San Francisco. Alla stessa stregua sarebbero storici i gialli di Simenon, della Christie e il novanta per cento di tutti i gialli di ogni tempo.
Il modo d’uscirne può essere quello di fissare la regola per cui è storico solo il giallo ambientato in un’epoca precedente rispetto a quella in cui è stato scritto. Questa definizione va benissimo per i grandi classici del genere, a cominciare dal Nome della rosa, che resta a mio avviso il capolavoro assoluto in questa accezione. Però così sarebbe storico anche L.A Confidential di Ellroy, ambientato nella Los Angeles degli anni ‘50 ma scritto nel 1990, e addirittura Romanzo Criminale, ben piantato nelle bassezze della Roma dei ‘70 ma scritto trenta anni dopo. E moltissimi altri romanzi, spostati all’indietro anche solo di qualche anno rispetto a quello della loro composizione, si ritroverebbero ope legis nel catalogo.
In pratica qualsiasi mystery, che non riguardasse strettamente fatti cronaca letti questa mattina nelle pagine di nera del giornale, sarebbe un giallo storico. Non è possibile, specie se continuiamo ad assumere l’opera di Eco come parametro.
Potremmo allora cavarcela adottando una formula estremamente ampia: sono gialli storici quelli in cui a qualsiasi titolo troviamo dei riferimenti a elementi storici. Ma così diventa un giallo storico anche Il codice Da Vinci. E poco importa che qui la storia sia un po’ alla buona, al punto che Dan Brown, il suo fortunato autore, sembra credere che Da Vinci sia il cognome di Leonardo: ci sono i Templari, c’è Leonardo, addirittura Gesù Cristo e quindi ci siamo, più storico di così!
Così anche questa risposta alla fine sembra insufficiente: non resta che abbracciare un’istanza ancor più radicale. Un giallo storico è quello in cui il vero protagonista è appunto l’elemento storico stesso. Pensiamo ancora una volta al Nome della rosa: chi è il protagonista del romanzo? Il monaco indagatore Guglielmo? Jorge da Burgos? Quel fetente di Bernardo Gui l’inquisitore? No, il vero protagonista è lo scontro ideologico che si accese in Europa a cavallo dei secoli XIII e XIV, e il modo in cui esso penetra e scuote le coscienze individuali fino a generare, nel caso del romanzo, una catena di delitti.
La prova è proprio nel ragionamento a contrariis: possiamo introdurre nell’intreccio qualsiasi variazione, giocare a invertire i ruoli, introdurre o togliere personaggi, modificare perfino lo sviluppo della trama e avremo ancora una narrazione coerente e consistente: ma se eliminiamo il tema di fondo, lo scontro tra due modelli culturali l’uno rivolto all’indietro verso gli albori della cristianità e l’altro proteso in avanti verso il nascente umanesimo, tutto si sfalda e diventa incoerente. La stessa trama criminale non avrebbe più alcun senso.
D’accordo, allora? Ma adesso complichiamoci la vita introducendo un altro e ancor più dirimente problema: che storia ci deve essere in un buon giallo storico? E la domanda è di spessore, tanto da accendere tra i fans e gli specialisti un’accesa discussione.
Bisogna scrupolosamente attenersi ai fatti accertati, oppure il narratore ha il diritto di colorare la storia secondo il suo estro e gli scopi che si prefigge? Manzoni, che fa morire Adelchi in battaglia invece di lasciarlo tranquillamente scappare, come pare che fece nei fatti, è un falsificatore? E se nei Promessi Sposi Lucia venisse assassinata, il romanzo avrebbe titolo per essere definito un giallo storico? Perché in definitiva il giallo storico non è altro che una sottoclasse del romanzo storico, di antiche e nobili tradizioni.
Ma appunto, che storia deve essere quella dei gialli storici? Immaginate di trovare un romanzo così: luogo, la Roma del I secolo a.C. Sono le idi di marzo del 44 e Cesare è appena arrivato nel teatro di Pompeo. Di botto viene circondato dalla turba dei congiurati e ucciso con le famose ventitre pugnalate. Poiché la cosa ha fatto scalpore, praticamente ognuno dei ciarlieri cittadini romani ha sentito il bisogno di dire la sua e quindi sappiamo esattamente come è andata. Ci sono infatti un sacco di testimonianze. Marco Antonio accorre, e si china disperato sul cadavere dell’amico-protettore, mentre i congiurati si scatenano per la città inneggiando alla morte del tiranno.
È o non è storia? Più storia di questa! Buona per Shakespeare e per noi all’esame di maturità. Ma ammettiamo adesso che Antonio, sempre chino sul cadavere, si accorga da qualche particolare a lui solo noto che quello non è il corpo di Cesare, bensì di un sosia, mandato al posto suo per timore dell’infausta profezia dell’augure Spurinna. È perplesso (del resto Marco Antonio è notoriamente un culturista, non certo una mente), non sa bene che fare. Cesare è scomparso, si nasconde, avrà allora un suo piano, magari vuole approfittare del fatto che tutti lo credano morto per qualche regolamento di conti con il Senato o chissà che altro avrà in testa.
Decide allora di tacere, per vedere come piega. Intanto però tra il lusco e il brusco i cesariani stanno eleggendo proprio lui, Antonio, a capo del partito, con grosse prospettive nel prosieguo. Il nostro Antonio, che è sì un culturista ma mica proprio scemo, si fa vincere dall’ambizione. Immaginando che il sor Giulio sia nascosto nel suo buen retiro di Nemi, con la scusa di prepararlo per le esequie fa sparire il corpo del morto, raggiunge Cesare e non visto gli rifila le canoniche ventitre pugnalate. Poi sempre col favor delle tenebre riporta il Cesare vero a Roma. Di qui la storia prosegue come sappiamo, l’orazione strappalacrime e tutto il resto, mentre il romanzo è finito. E che nessuno provi a scriverlo perché l’ho già fatto io!
Improbabile? Non scherziamo, e la fuga di Edmond Dantes dal castello d’If, allora? Nessuno ci ha mai trovato niente di strano. La domanda piuttosto è un’altra: quello che ho scritto è un giallo “storico”? Dipende. Per lo storico certamente no, mi diffiderebbe dall’uso dell’aggettivo. Per me che lo scrivo sì, e per questo vorrei sgombrare il campo una volta per tutte da un pericoloso equivoco: che il giallo storico debba muoversi rigorosamente all’interno del recinto dei fatti accertati.
So bene che questa è un’istanza portata avanti in stretta alleanza tra cattedratici della materia e lettori di provincia: i primi perché sospettosi di ogni intrusione non professionale nel loro campo, i secondi perché affezionati all’idea di arricchire la propria cultura in maniera dilettevole e con poca spesa.
Invece no, il giallo storico esplora proprio gli angoli non accertati del passato, ed è per questo che rivendico il diritto all’uso dell’aggettivo. Infatti il racconto in questione non è una pura ucronia: non vi si afferma che Cesare non sia morto nel 44 a.C., né che Napoleone abbia vinto a Waterloo. La trama della storia accertata non viene lacerata in nessun punto, le cose proseguono come sono, non aprono la porta su un universo parallelo. Soltanto, la storia viene interpretata in modo congetturale, come direbbe Borges.
E posso chiamare a sostegno della mia tesi diversi illustri padri del genere, che certo hanno tenuto conto dei fatti, ma senza mai restarne prigionieri: da Walter Scott a Victor Hugo, da Dumas a John Ford la caccia agli svarioni e ai blooper riempirebbe il carniere anche di uno studentello di liceo.
Ma c’è un ulteriore motivo, ancor più profondo, che spinge ad interpretare la storia in modo congetturale, oltre il piacere della narrazione. È che non si può fare altro! Già gli antichi se ne erano accorti, tanto da definire appunto la storia opus oratorium maxime, bello e sonante modo di dire che la storia è prima di tutto un molto organizzato sistema di chiacchiere, ben dette e formulate.
Perché davvero la storia, per strano che possa sembrare è dopo la statistica la più umbratile delle scienze. Analizzare un episodio storico è come guardare lo schermo di un televisore: alla giusta distanza scorgiamo la più bella delle figure, ma se ci avviciniamo scopriamo che tutto si sgrana in un caos di pixel multicolori, che solo la nostra mente tiene insieme in un’immagine. I pixel sono i fatti, i documenti. L’immagine, ossia la narrazione storica che ne consegue, è soltanto interpretazione.
Ma come, una disciplina ancorata ai “fatti” e che proprio nei fatti trova la sua ragion d’essere è invece il regno dell’incerto? Ahimè sì, e per ottimi motivi.
Tutto nasce da quello che noi conosciamo del passato. Che in realtà è tanto e pochissimo. Se escludiamo l’interpretazione e pretendiamo di ancorarci ai documenti, si scopre che non sappiamo in realtà nulla di ciò che risale a prima del quarto-quinto secolo a.C. A parte qualche elenco di regnanti e il ricordo di qualche battaglia famosa, tutto il resto non è fatto ma interpretazione.
Ma poi arrivano i “documenti”, dirà qualcuno! Giusto, ma proprio i documenti sono spesso la più fallace delle fonti. Noi ci aggrappiamo a essi con la disperazione di un mitile allo scoglio solo perché, dall’epoca degli scribi egiziani, siamo condizionati da un mito suggestivo, alimentato ad arte proprio da quegli scribi per primi: ossia che ciò che è scritto sia vero.
E che anzi nella parola scritta gli dèi abbiano insufflato una sorta di spirito magico, che dal Libro dei Morti giù fino alle costituzioni degli stati moderni valida ogni testo scritto con una sorta di sigillo supremo di intangibilità e di verità. Ma non è così: i documenti su cui facciamo tanto affidamento soffrono invece di una duplice potenziale fallacia.
Anzitutto possono essere bellamente falsi: dal catalogo dei re egizi di Manetone alla donazione di Costantino, al passo dell’oscuro chierico che inventa di sana pianta tutta la legenda di re Artù spacciandola per autentica, l’elenco delle invenzioni e falsificazioni storiche sarebbe lunghissimo. Ma soprattutto i documenti sono sempre drammaticamente parziali: immaginate che tra migliaia d’anni, scomparsa ormai la vita dalla terra, una spedizione di Marziani cerchi di ricostruire la nostra storia. E che casualmente i loro archeologi si imbattano in un pacco di lettere alle famiglie dei custodi dei campi di sterminio, qualche annata del Völkischer Beobachter e una pizza dei filmini propagandistici girati per darla a bere a quei curiosoni della Croce rossa internazionale.
Sicuramente nei testi di storia marziana troveremmo scritto che verso la metà del secolo XX si sviluppò sulla Terra un’associazione benefica, chiamata SS, dedita all’assistenza dei membri della società afflitti da un’indefinita tara ereditaria, cui si occupava di fornire alloggio e cibo gratuiti, vestiario, lavoro, in appositi campi eretti in località amene nell’attesa che lo stato fosse in grado di fornire una soluzione finale al loro disagio.
Campi dotati di docce e impianti sportivi, e in cui veniva prestata un’efficiente assistenza medica agli occupanti, tanto più rimarchevole in quanto dedica anche a ricerche scientifiche avanzate in materia di genetica. Così attraenti da dover organizzare un’intera rete di trasporti gratuiti per potervi condurre le folle che da tutta Europa si affollavano per accorrervi. E questo sulla base di documenti inoppugnabili.
Esagerato? Mica tanto, se si pensa che è più o meno quello che facciamo noi quando ricostruiamo la congiura di Catilina sulla base delle testimonianze di Cicerone o di Sallustio, o crediamo davvero che Caligola fosse il pazzoide descritto da quella linguaccia di Svetonio. Il problema è che gli uomini non mentono mediamente ogni tre minuti, come affermano molte ricerche psicologiche e il bel telefilm Lie to me con Tim Roth: gli uomini mentono sempre, anche quando non sanno di farlo. Nel senso che lavorano continuamente per chiudere quelle fonti di angoscia che sono gli spazi vuoti nella conoscenza delle cose, che vanno comunque riempiti in qualche modo. Ora quello che è fonte di angoscia per lo storico, queste lacerazioni nella trama dei fatti, diventa invece felice terreno di pascolo per il romanziere, che vi si scatena senza pudori.
Lo scrittore di romanzi e gialli storici diventa così una sorta di solerte rammendatrice della trama lacerata dei fatti. Chiude i buchi con materiale che crea lui stesso, come il ragno che fila la sua tela, cercando di raggiungere un risultato il più possibile simile al tessuto intorno. Ovvio che uno strappo resta uno strappo, anche sotto le mani più abili, e il concetto di rammendo invisibile è alla fine solo pubblicità.
Ma per quanto simile a quello di un umile artigiano, pure la sua opera ha una certa grandezza. Ci scampa dal terribile peso dell’ineluttabilità del passato, come quella ci salva il paio di pantaloni. Va a smuovere le nostre conoscenze cristallizzate, ci suggerisce all’orecchio che no, non è vero che “ciò che è stato è stato” e non c’è nulla da fare. Conforta le nostre inquietudini con l’idea che un altro mondo e un’altra storia sono sempre possibili.
È questo il lavoro di ogni buon giallo storico: intessere nella catena degli avvenimenti una miriade di fili colorati raccattati in giro, in modo da colmare gli spazi vuoti tra gli anelli di ferro dei fatti. E alla fine, quando l’opera è compiuta, lo scrittore come il più abile dei tessitori rovescia sul tavolo il suo lavoro, e mostra un’immagine inattesa. E come in ogni arazzo, l’ordito aspro e rozzo è scomparso e trionfano i colori del sogno.

3 commenti:

Sergio Calamandrei ha detto...

Complimenti, Giulio; un blog davvero interessante, da inserire subito tra i Preferiti.

Buon proseguimento.

Sergio Calamandrei

Luca Filippi ha detto...

Caro Giulio,
ho già avuto modo di apprezzare il tuo "pezzo" sul giallo storico sul sito "Letteratitudine". Concordo in pieno. In particolare sul fatto che l'Autore debba insinuarsi nelle maglie della Storia, più o meno ampie a seconda dell'argomento scelto. E' proprio la capacità di riempire i "gap" in modo credibile che rende il giallo storico interessante. Soluzioni poco verosimili o grossolane stonano nell'ordito, come lo definisci tu, e compromettono il risultato finale.
Un caro saluto
Luca

Ivanalessia ha detto...

Complimenti per l'articolo e per il suo blog.

Saluti

Ivana