domenica 2 maggio 2010

In memoria di Jiri Orten.


Non so se capiti anche a voi, ma a me periodicamente succede questo: dal fondo della memoria riemergono persone, fatti e soprattutto parole, senza che apparentemente vi sia nessuna madelaine a evocarle.
E sono sempre le stesse. Possono passare anni, ma prima o poi implacabilmente, come il ritorno di una cometa dal buio dello spazio, all'improvviso si ripresentano.
Questa volta sono i versi di un poeta che scoprii durante gli anni universitari. Ero passato in biblioteca, aspettando una lezione pomeridiana, e mi capitò tra le mani uno di quei libretti bianchi di poesia della Einaudi.
Il nome, Jiri Orten, non mi diceva nulla. Presi a sfogliarlo soltanto per via del traduttore, Giovanni Giudici, che allora mi sembrava e mi sembra tuttora uno dei più grandi poeti dell'altro secolo.
Andai avanti, pagina dopo pagina, senza eccessivo entusiasmo: allora ero affascinato dalle crollanti architetture di Eliot e di Pound, e quanto ai nostri non facevo che rileggere Montale e Sanguineti (senza sapere che si detestassero, anzi a me parevano l'uno lo sviluppo logico dell'altro, ma non dovevo avere le idee chiare).
Invece gli echi rilkiani di Orten mi sembravano datati, e anche i suoi richiami a Rimbaud troppo crepuscolari.
E poi volto ancora una pagina, e trovo la Settima Elegia. E resto folgorato.

"Vi scrivo, Karina, e non so se siete viva,
se già non siete dove non più esiste desiderio,
se nel frattempo è finita la vostra rischiosa età.
Siete morta? Chiedete alla vostra pietra di farsi lieve,
chiedete alle rose, signora, di appassire..."


Solo molto tempo dopo e grazie a Internet ho scoperto come suonavano nell'originale i versi, a cominciare dal primo: "Píši vám, Karino, a nevím, zda jste živa..."
E senza sapere una parola di Ceco ho cercato più volte di sentirle nella mente, in una pronucia probabilmente immaginaria, fino alla chiusa altrettanto straodinaria:

"...e da Dio abbandonato, e abbandonando Dio,
vi scrivo, Karina, e non so se sono vivo..."


...vám, Karino, a nevím, zda jsem živ... perché mi ricordo di te, Jiri? Un uomo che non ho mai conosciuto, che forse nemmeno avrei notato, se ti avessi incontrato in una strada intristita della tua Praga occupata. Una città che non ho mai visto, che immagino soltanto attraverso il racconto di Ripellino, e le sequenze di Delitti e segreti, il film di Soderbergh su Kafka?
Cos'hanno veramente di magico le tue dannate parole, non lei? Perché non riesco a dimenticarle?

3 commenti:

Fabrizio Foni ha detto...

Il perché è semplicissimo (del riaffiorare di certi personaggi in generale, non di Jiří Orten, Praga & company...). La madeleine proustiana c'è, senz'altro, ma alla pari del trucco di una bella illusione se ne sta ben nascosta. E proprio per questo il suo potere d'evocazione è più forte :)

NATAKARLA ha detto...

Ti sembrerò sfacciata, ma ti sarei davvero grata volessi inviarmi una copia della Settima Elegia. Mi ha colpito molto sia per il breve testo che hai citato, sia per come hai descritto il modo con cui l'hai "scoperta". Oppure se hai fatto un post a parte, mi potresti indirizzare là con un link?
Non so dove vivi tu, ma da me trovare liberamente un libro di poesia che non sia della Merini, di Pessoa, o di Montale è come vincere alla lotteria...
Se ne vale la pena, acquisterò il libretto tramite internet.
Ti ho messo i miei riferimenti.
Grazie infinite e scusami.

l'amministratore ha detto...

Ti ho mandato indicazioni alla tua mail.