L'dea dell'Armageddon è di quelle che più hanno infiammato nei secoli l'immagina inazione dei fantasiosi, a cominciare da quella degli scrittori "apocalittici"
Cosa c'è di meglio infatti per riempire le pagine di un romanzo di successo, che strizzare l'occhio agli antichi scrittori di cose sacre, scopiazzando da loro quinti, sesti e settimi sigilli, Anticristi e cavalcanti dell'Apocalisse?
Certo, un conto è poi se a farlo è Ingmar Bergman, tutt'altro conto se ci prova Pincopallino, ma queste sono quisquilie che il benevolo fruitore di massa perdona facilmente.
Il problema però è come al solito un altro, di fondo. Ossia l'idea errata che l'Armageddon sia un evento puntiforme nel tempo, con un inizio, un durante e una fine circoscritti a poche settimane se non giorni. Il romanziere tende a farlo credere, per una pura esigenza di foliazione e di sedicesimi a stampa, ma è un falso clamoroso. In realtà esso è un processo di lungo periodo, per il cui completamento sono necessari anni e anni e generazioni e generazioni.
Insomma distruggere il mondo è un lavoro lungo e faticoso, e non bastano un demoniaco condottiero e quattro cavallerizzi a zonzo. Occorre che ognuno di noi si dia da fare per quel che può, con metodo e tenacia, per aiutare l'avanzamento della macchina.
giovedì 28 agosto 2014
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