sabato 9 agosto 2014
Declino della globalizzazione.
Credo che si possa ragionevolmente sostenere che tutte le crisi che si stanno susseguendo in questo scorcio di inizio secolo, al netto del loro carico di orrori e sofferenze, hanno almeno un tratto positivo che le accumuna: sono tanti chiodi sulla bara della globalizzazione forsennata.
Un'idea che, ingenua nella sua prima formulazione, correva il rischio di trasformarsi in un inferno orwelliano se portata alle conseguenze auspicate dalle grandi corporation multinazionali.
Ingenua, perché l'idea dell'uomo cosmopolita, "civis mundi", poteva andar bene nel 700, tra gentiluomini in parrucca e culottes seduti ai tavoli del café Procope a bersi delle gran tazze di cioccolatte. Ma trasportata ai giorni nostri avrebbe significato solo ritrovarci tuti a vivere in uno sterminato Alabama, a ingozzarci di hamburger e germogli di soia geneticamente modificata e ad ascoltare rapper ciccioni ventiquattro ore al giorno. E la domenica tutti al cinema con l'ultimo fregnone di supereroe Marvel.
Certo, sarebbe stato meglio se fossimo stati noi europei a contrastarla, mettendo in campo gente come Shakespeare, Leopardi, Mahler o Corto Maltese, e non i tagliagole dell'Isis, l'arcigno Putin o i bancarottieri sudamericani. Ma a volte le cose vanno come vogliono loro.
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