Un tempo, quando il mondo era migliore e l'Europa splendeva, le biciclette avevano un sesso, esattamente come tutti gli altri esseri viventi.
Esisteva la bicicletta per uomo, solida e imponente, e quella per donna, più snella e aggraziata. La prima dotata di una decisa canna trasversale, pensata per l'uso di calzoni e virili avvii alla bersagliera. La seconda con il telaio adatto a essere condotta con gonne vezzose, mostrando senza esagerare un tanto di gambe piacevole e suggestivo nell'atto di avviare la pedalata di lato, con un saltello.
La canna maschile consentiva inoltre l'eventuale trasporto di una fanciulla di non eccessive dimensioni (meglio se per brevi tratti e in discesa), e soltanto chi ha provato l'estasi di pedalare nel vento con in bocca le chiome profumate dell'essere amato, sa di cosa parlo.
Anche i relativi abiti erano rigorosamente distinti. Per lui preferibilmente pantaloni alla zuava, per non intralciare l'azione della guarnitura. In alternativa era consentito l'uso di mollette da risvolto: la Brooks ne fa ancora di splendide, ma bisogna farle venire da Londra.
Per lei invece la gonna di tweed o plissé, e scarpe da bebè d'estate. D'inverno niente bicicletta.
Poi si è deciso che per risparmiare la bicicletta dovesse diventare unisex, e ne è venuto fuori questo mostriciattolo senza carattere, insipido come un formaggio al tofu. E anche l'abbigliamento ne ha risentito, strizzando il ciclista in tutine da étoile del Bolshoi, che c'è solo da vergognarsi a trovarcisi in mezzo.
Insomma siamo riusciti a rovinare pure il cavallo di ferro.
martedì 19 agosto 2014
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